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MICHELA CARMIGNANI
PSICOLOGA PSICOTERAPEUTA
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Panico

panicoL’attacco di panico, fonte di sofferenza e limitazioni in chi lo sperimenta, è un disturbo di cui sempre più spesso si sente parlare. Ma in cosa consiste praticamente? Si tratta di una escalation di sensazioni fisiche sgradevoli che si accompagnano a un’intensa paura o disagio e che si sviluppano improvvisamente nell’arco di una decina di minuti circa. Per poter essere definito come attacco di panico devono essere presenti almeno quattro sintomi quali battito cardiaco accelerato, sudorazione, agitazione, sensazione di soffocamento, nausea, stordimento, paura di perdere il controllo o di impazzire, paura di morire.

Il primo attacco avviene in genere in seguito ad un evento stressante. La persona si spaventa di fronte alla sintomatologia, attribuendola inizialmente ad un malessere fisico. Tale spavento non fa altro che attivare ulteriormente il sistema neurofisiologico che presiede al vissuto di paura, inducendo a sua volta una intensificazione dei sintomi che conduce alla sensazione di panico e di perdita di controllo. L’insorgere di attacchi successivi è facilitato dallo stare in allerta: la persona si aspetta intimorita di sentirsi nuovamente a disagio in situazioni simili a quella del primo attacco e si focalizza in modo ansioso sulle proprie sensazioni fisiche distorcendone il significato così da spaventarsene e riattivare nuovamente il processo del panico. Si crea in tal modo un circolo vizioso che si autoalimenta nel tempo.

A livello terapeutico il trattamento si basa da un lato sul riconoscere insieme al terapeuta il meccanismo di distorsione percettiva delle sensazioni fisiche che porta a terrorizzarsi. Dall’altro, per una guarigione a lungo termine, è importante cogliere il significato del disturbo nella vita della persona, ossia il cosiddetto vantaggio secondario, perché la persona stessa possa procurarsi ciò di cui ha bisogno con modalità più soddisfacenti. Se ad un livello conscio l’attacco di panico provoca disagio e sofferenza, ad un livello profondo può comportare l’illusione di evitare situazioni percepite come minacciose o di ottenere risultati emotivamente appetibili: ad esempio, una conseguenza del disturbo è solitamente una limitazione negli spostamenti che la persona effettua e questo potrebbe essere rassicurante per il suo sistema familiare. Infine la persona stessa, inconsapevolmente, potrebbe illudersi di ottenere con il sintomo una maggiore vicinanza emotiva dai propri familiari.

 

 

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Dott.ssa Michela Carmignani Psicologa Psicologo Psicoterapeuta Roma

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