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PSICOLOGO MICHELA CARMIGNANI
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Anoressia, pubertà e modelli culturali

Cinquant’anni fa l’anoressia era considerata una malattia rara, diffusa tra le giovani di classi sociali elevate. Oggi i disturbi dell’alimentazione sono in continuo aumento. Lo stereotipo della magrezza come ideale femminile rimbalza nelle immagini a cui i media ci hanno abituati. Il contesto socio-culturale attuale facilita il manifestarsi di alcune forme di disagio adolescenziale attraverso i disturbi alimentari. Così, mentre i maschi ricorrono all’uso di sostanze stupefacenti in modo più massiccio delle femmine, i disturbi dell’alimentazione si manifestano nelle ragazze con una frequenza di molte volte maggiore rispetto ai maschi. Tali disturbi sono legati ai cambiamenti della pubertà. In questo periodo le preoccupazioni relative alla dieta si intensificano e le ragazze che sviluppano prima risultano a maggior rischio, in quanto meno preparate a sostenere psicologicamente la portata di trasformazioni come l’arrotondarsi delle forme femminili. Altro fattore di rischio risulta una distorta percezione della propria immagine corporea: chi sviluppa un disturbo alimentare sembra avere una percezione fortemente soggettiva del proprio corpo che ne enfatizza le imperfezioni e la massa corporea. L’alterazione della percezione si accompagna ad una preoccupazione estrema per il peso e l’aspetto fisico, considerati il metro con cui stabilire il proprio valore. Tali convinzioni sono sostenute da un livello di autostima molto basso e alimentate dai modelli culturali che propongono di arrivare a sentirsi sicuri di sé costruendosi un corpo perfetto, costi quel che costi. A livello familiare l’anoressia e la bulimia si configurano come tentativi estremi, non consapevoli, di affermare la propria individualità, in una fase evolutiva, come quella dell’adolescenza, in cui si avvia la costruzione dell’identità personale. L’adolescente comunica che è lei ad avere il controllo, e dunque il potere su di sé, mantenendo, o tentando di mantenere, un regime ferreo sul proprio corpo. Per questa dinamica conflittuale che si gioca a livello familiare, e poiché i disturbi alimentari insorgono in soggetti ancora in crescita, il loro trattamento dovrebbe comprendere anche interventi a livello familiare con sedute terapeutiche dove coinvolgere più componenti della famiglia.

 

Michela Carmignani

 

Pubblicato su “il quartiere”, luglio 2005

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