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PSICOLOGO MICHELA CARMIGNANI
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“Bulle” e “pupe”: che fare?


Cronaca di Roma: una adolescente viene aggredita a scuola da un gruppo di compagne, dopo aver difeso una ragazza disabile dai loro insulti. Tra i fattori alla base di un episodio come questo, due gli aspetti da tenere in considerazione. Il primo: la violenza minorile non è più una prerogativa maschile, o di uno strato sociale, ma è diventata un fenomeno trasversale, legato piuttosto ai limiti dello stile di vita di oggi che accomunano adulti e genitori: poco tempo per parlare e per imporre dei “no”, spiegando e sostenendo con fermezza le motivazioni. Gli adolescenti tendono a crescere con pochi limiti e, quello che è il loro compito psicologico, raggiungere una propria identità, diventa sempre più difficile da realizzare. Questo è il paradosso in cui rischiano di trovarsi: senza regole contro cui lottare e ribellarsi, senza limiti rispetto ai quali differenziarsi, come iniziare a stabilire chi si è e cosa si vuole? Fare bullismo, vittimizzare i compagni con aggressioni verbali e fisiche, può dare al ragazzo o alla ragazza un’illusione di potere che compensa il vuoto di un senso di identità carente. Secondo aspetto: l’adolescenza è l’età dove ci si sperimenta in vari ruoli, per trovare poi la propria strada come adulti. Per questo è una fase ricca di potenzialità, in cui anche i ruoli negativi possono essere sostituiti, se si interviene tempestivamente. Ciò significa offrire modalità alternative attraverso le quali i ragazzi possano imparare a sentirsi “qualcuno”. Strumenti utili in questa direzione sono i progetti di educazione affettivo-relazionale nelle scuole e i corsi per i genitori. I primi mirano ad educare i ragazzi a comunicare le loro opinioni e i loro vissuti. Si tratta di un’abilità con un alto valore di prevenzione del disagio. Trovare parole per descrivere il proprio mondo interno e per comunicarlo agli altri è un mezzo potente per acquisire consapevolezza di sé e affermarsi nelle relazioni in modo costruttivo. I corsi per i genitori, infine, non pretendono di svalutare l’impegno e la competenza di questi. Anzi, dando loro uno spazio nel quale condividere dubbi e incertezze, senza sentirsi inadeguati, hanno lo scopo di sostenerli nel difficile compiti di mantenersi coerenti nell’educazione dei figli, per divenire più autorevoli ai loro occhi.

Michela Carmignani

Pubblicato su “il quartiere”, marzo 2005

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