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PSICOLOGO MICHELA CARMIGNANI
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Farmaci e iperattività

L’Agenzia Europea per il Farmaco (EMEA) ha condotto una ricerca sugli effetti di alcuni psicofarmaci anti-depressivi somministrati a bambini e adolescenti. I risultati sono allarmanti: tra i ragazzi “curati” con tali psicofarmaci si osserva un aumento di tentati suicidi e pensieri suicidari, così come di comportamenti aggressivi e oppositivi. Si tratta di un rischio reale anche per i bambini italiani, dato che in 30.000 hanno assunto questi farmaci. Luca Poma, il portavoce di “Giù le Mani dai Bambini”®, la campagna italiana di vigilanza su questi temi (www.giulemanidaibambini.org), ha dichiarato “Gli psicofarmaci di ‘nuova generazione’, commercializzati come risolutori di ogni disagio dei minori, del tutto privi di effetti collaterali secondo i loro sostenitori, sono in realtà un fallimento completo”. Prima degli anti-depressivi, sono stati sotto accusa anche i farmaci per contrastare l’iperattività, disturbo caratterizzato da agitazione incontenibile e difficoltà di concentrazione nello studio. In generale, si assiste ad una sconcertante superficialità nella scelta di somministrare terapie farmacologiche per i disturbi dell’età evolutiva. Se in alcuni casi questo tipo di trattamento può avere un ruolo determinante nella cura, esso va prescritto con cautela, dopo un’attenta diagnosi effettuata da un medico specialista e valutando con attenzione gli effetti collaterali del farmaco specifico. Il crescente uso, e abuso, di psicofarmaci, nel trattamento dei bambini così come tra gli adulti, può a volte alleviare e contenere momentaneamente la sofferenza, ma raramente contribuisce a eliminarne le cause. Oltre al rischio di alimentare una dipendenza, c’è il rischio di non comprendere il disagio sottostante, e di non trovare una via di comunicazione con sé e con gli altri che aiuti la persona a conquistare un reale benessere. Per questo, qualora proprio se se ne valuti l’opportunità, la terapia farmacologia andrebbe accompagnata da un aiuto psicologico. Soprattutto per quanto riguarda i bambini, la loro maggiore capacità di recupero fa sì che l’uso di psicofarmaci potrebbe spesso rivelarsi non necessario, se si desse loro la possibilità di essere ascoltati intervenendo tempestivamente a livello psicologico con tecniche adeguate.

Michela Carmignani

 

Pubblicato su “il quartiere”, maggio 2005

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