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Adolescenza, è crisi:

tra normale inquietudine e crudeltà "senza" senso

Una generazione adolescenziale dai tratti violenti e crudeli. Questo è il ritratto che emerge, purtroppo, dalle cronache di questo periodo. Come spiegare certi fenomeni? Cosa succede ai ragazzi in questa fascia d’età?
L’adolescenza può essere descritta come un periodo di crisi legate alla molteplicità dei cambiamenti che questa transizione implica. Da un punto di vista fisiologico c’è un accrescimento fisico che generalmente porta ad una crisi nella percezione di sé. Da un punto di vista cognitivo vi è un enorme ampliamento delle possibilità ideative con il passaggio a forme di pensiero più complesse. Accanto a questi cambiamenti vi è un forte attaccamento al gruppo mentre si verifica un'opposizione alle autorità genitoriali che, dopo essere state idealizzate nell’infanzia, vengono sottoposte a critica per facilitare il processo di acquisizione di un’identità personale. L’idealizzazione viene trasferita sul gruppo che diventa il luogo della complicità e dell'uniformità dove l'ego viene amplificato. Da un punto di vista affettivo si configura una dialettica tra libertà e controllo, all’interno della relazione con i genitori, che dà vita a diverse situazioni conflittuali. Emozioni potenti e difficoltà nella loro gestione diventano la norma in questo contesto: possono così verificarsi fenomeni transitori quali crisi depressive o il nascondimento della sofferenza sotto un certo “cinismo”.
Ma qual è il limite tra normale inquietudine e condotte gratuitamente ostili e persecutorie?
Nelle crisi adolescenziali l’Io deve fare i conti con il lutto (depressione) relativo alla perdita della dipendenza infantile e delle “certezze” ad essa collegate. Un distacco emotivo di fronte alla disillusione di aspettative elevate nel confronto con la realtà risulta un processo normale. Ciò che alimenta invece un esito patologico della crisi è il non riconoscimento della conflittualità interna. La patologia nasce quindi dalla negazione della depressione e della ferita agli aspetti di sé narcisistici. Quando la tensione conflittuale non viene elaborata psichicamente per essere compresa in un processo di acquisizione di consapevolezza dei propri limiti, ma scaricata coattivamente con ciò che viene tecnicamente definito un acting-out, si ha un’azione impulsiva apparentemente senza senso, che può essere un’azione violenta, verso sé o verso gli altri. La comprensibile frustrazione dell’adolescente, non riconosciuta e gestita a livello simbolico, diviene così azione violenta, incompresa dallo stesso autore che non sa darne spiegazione e (apparentemente) incomprensibile per la società che osserva.

 

Michela Carmignani

 

Pubblicato su “il quartiere”, novembre 2006

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