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PSICOLOGO MICHELA CARMIGNANI
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Omosessualità e pregiudizi

A dicembre scorso è stato pubblicato su Liberazione un reportage di Davide Varì sull’omosessualità. L’autore, che ha simulato di essere omosessuale, denunciava di essere stato sottoposto ad una psicoterapia “riparativa”, per “guarire” da tale condizione, presso l'Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici. Nonostante la diagnosi di omosessualità sia stata eliminata da oltre trent’anni dal "Manuale Statistico e Diagnostico delle Malattie Mentali" e nonostante la comunità scientifica internazionale sia unanime nel non ritenere l'omosessualità una patologia, sopravvivono ignoranza e pregiudizi su questo tema. Non solo l’omosessualità non è un disturbo, e di conseguenza non è una condizione da “curare”, ma l'articolo 4 del Codice deontologico degli psicologi afferma che lo psicologo deve astenersi dall'imporre il proprio codice di valori impostando il trattamento in base a criteri clinici e non ideologici. Come professionisti della salute il nostro obiettivo deve essere favorire il benessere della persona aiutandola a sentirsi libera di esprimere il proprio sé autentico, nel rispetto dell’altro, e a individuare nuove opzioni con cui soddisfare responsabilmente i propri bisogni e le proprie aspirazioni. Purtroppo il disagio di alcune persone omosessuali è alimentato proprio dal dare credito alla credenza che la loro sia una condizione da cui uscire per star bene, piuttosto che una preferenza sessuale da integrare con il resto della propria personalità. Una delle prime mosse terapeutiche consiste nel favorire l’accettazione di sé e del proprio orientamento sessuale, spiegando, letteratura alla mano, che non c’è niente da cambiare. Il disagio è spesso legato al sentirsi sbagliati perché “diversi”, pertanto ha una forte radice socio-culturale. Quando lo psicoterapeuta “spinge” un paziente verso determinate scelte che ritiene migliori in base a propri orientamenti valoriali, assume un ruolo genitoriale negativo, inducendo nel paziente un adattamento compiacente o una ribellione passiva. Si instaura una dinamica che, anziché favorire benessere, ostacola la “crescita” della persona intesa come capacità di utilizzare le proprie potenzialità creative, di diventare autonomo nel prendersi cura di sé in un modo amorevole e di saper costruire relazioni rispettose ed emotivamente “nutrienti” con gli altri. Capacità trasversali e in alcun modo predeterminate dall’orientamento sessuale, religioso o politico.

 

Michela Carmignani

 

Pubblicato su “il quartiere”, marzo 2008

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